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16 aprile 2014 3 16 /04 /aprile /2014 23:47

                      Introduzione

Nel giorno

sono zoppo,

si attraggono poco i miei passi.

Di notte mi tingo, sguscio dal baratro

ed esce il mio sguardo,

che esplora il silenzio, padrone di vita.

Nel profondo d'un arpeggio di bui su una chiave virtuale.

Come chiave intendo la chiave di violino, quando si inizia uno spartito musicale e così che arpeggio, dai bui, una posa scritta, virtuale. Si, infatti, per me, il buio arpeggia, suona una musica di parole, nel suono dell'immaginario si aprono fonti sconfinate in cui mi perdo in un silenzio ed invento, aspiro, racconto, o non so cosa altra cosa. Tu potresti leggere e capire del mio scrivere, ma credimi, il buio è un silenzio soave che suona, ti descrive un pò dell'esser tuo, sia rozzo, goffo, pazzo, astratto, ma è bello sentirsi vivo e descrivere un pò, di questa vitaccia, nel buio della notte. Suonarla negli arpeggi bui, scrivi parole, le vorresti suonare, cantare, poi sorridi nel buio, perchè adesso solo ti accorgi e le arpeggi in tante storie che inventi.

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Come zero le nostre vite, un cerchio torpido, una forte discreta ascesa nelle tenebre, che chiamava ad un si  troppe volte. Solo adesso comprendo il macabro coraggio di noi due, di dare una definizione alla nostra storia, di non so che, forse un sentimento, oppure la sciolta passione della complicità nel fare e dare un pò di sè all'altra persona. Solo il fatto che lo facevamo nel modo più orrendo che mai, si transitava e ci si fermava spesso anche a lungo andare. Il senso che non c'era, non si era mai cercato per il troppo male che infieriva in noi e, inferti nell'anima dall'orrido, noi calpestavamo la nostra vita, sempre vivi, versati nel vomito della notte, spacciati di giorno come persone normali e di rispetto. Non ho mai capito se mi ero innamorata, però lui, anche se un bastardo, se si allontanava, non mi sentivo vera. Lui era la mia notte ed io non ho mai capito se ero importante per lui. Sembrava che ci tenesse di più per la droga e in due eravamo complici di tante diavolerie fredde senza avere uno scopo di vita. Fu così che lo conobbi. Un mattino io ero smontante dal turno di notte, ero l'infermiera più rispettata e apprezzata di tutto l'ospedale, ma non è un vanto. Il mio apprezzamento non è professionale, ma solo perchè sono stata sempre una donna umile e forse ho sbagliato, per il troppo buon cuore, nei riguardi di chi dovevo essere dura. Si con lui! Si presentò di notte in ospedale, indossava la divisa, era un polizziotto. Un bell'uomo, dall'aspetto tranquillo, rasserenante, che non passava inosservato. Non aveva bisogno di una divisa, la sua statura era da sballo. Si! Forse Ugo è stato il mio peggiore sballo preferito! Con la volante accompagnò un uomo ferito che avevano arrestato lui e un suo collega, mi svolò dritto negli occhi, uno sguardo di ghiaccio penetrante e sobrio alla vista dei miei occhi. Incurante dell'istante, sembravo fuori dal mondo. Mi dette un cenno, nel mio smarrire, forse un pò eccessivo e mi svegliai come un segugio, procurando una barrella per l'uomo ferito. Ugo alzò il ferito con poca gentilezza, notai subito il suo modo un pò repellente alla figura umana. Transitammo nell'accettazione pochi minuti, Ugo era ancora esaltato dal conflitto con il malvivente, al punto tale che tremava ancora fortemente e il suo collega gli implorò di bere una camomilla. Si sedette agitato, ma non notavo in Ugo l'enorme  angoscia di chi ferisce una persona, sembrava più che fosse turbato per altri motivi. Dopo aver bevuto la camomilla, si mise a fumare una sigaretta, credo che gli servisse per sciogliere un pò tutta l'agitazione di un uomo, quando traccia dei momenti di tremore in un conflitto. Il malvivente andò in rianimazione, aveva poche probabilità di vita e fu così che io subito avvisai Ugo, gli dissi: " Agente, il ferito che avete portato è grave e non so se ce la farà, ha problemi forti di respirazione". Ugo non sembrò turbato per niente, si incamminò fuori, nell'androne vicino all'entrata, respirando l'aria del primo mattino, sembrava davvero che non gli interessasse la questione, anche se aveva passato due ore  in ospedale dopo aver accompagnato il ferito. Io da persona doverosa gli dissi: "Perché non va un pò a riposare? Lei sarà stanco, è qui da due ore".  Ugo rispose: "Posso sapere il suo nome?" Io d'impatto mi sconvolsi, peggio di quando frantumai in me i suoi occhi, scolpii la sua voce e risposi:  "Clara".

Lui: "Piacere Ugo" e poi ancora disse: "Sono ancora qui perchè quell'uomo si è ferito in uno scontro pubblico. Quell'uomo tentava una lotta civile, aveva un discorso chiaro tra le mani, una domanda senza risposta, cosa che io non ho ancora e cerco. Forse, Clara, le sembrerò un pò strano con questo discorso, ma la vita ci interroga e non siamo mai pronti alle domande, perche' vogliamo sempre risposte al nostro chiedere che abbonda e, se qualcosa o qualcuno ci contesta una risposta un pò inopportuna, la prima cosa che facciamo è essere scettici, come spettatori che guardano la vita assumendo il ruolo di prestigiatori.

Clara ...

Hihih!! Ugo, mi scusi il mio ridere nel primo mattino, ma lei non mi sembra davvero portato per far il poliziotto, potrebbe avere una carriera da filosofo! Hihih

Ugo...

Filosofo io???

Adesso è lei che mi fa ridere, Clara hihi.

E fu così, da quel mattino, che già, all' alba, si notava il chiaro della nostra intesa. Sentivo sciogliermi d'un fiato, quasi come se, in tutta la vita, mi fosse mancato un uomo così portante nello sguardo,  mi sentivo una bambina colpita alle prime armi dall'amichetto. Che nostalgia provai! Ugo, in qualche istante o momento, non ricordo, due, tre ore, mi trasformò la vita, mescolandola già da quell'istante che svolò negli occhi miei. Mi sommerse ed abbondai libera, sciolta nel parlare  ad un uomo, come non avevo fatto mai, nei miei quarant'anni. Parlammo per una mezz'ora, gli chiesi come era accaduto il conflitto con il ferito, cosa avesse fatto per beccarsi alcune pallottole nella contestazione, quindi, cosa fosse il suo reclamo, di quale opinione sociale si occupava la sua protesta, anche se nel paese erano chiare le problematiche odierne. Ugo si rilassò. Ero riuscita a rasserenare il suo stato confuso, in agitazione, con poca fatica. Mi entusiasmai nel fatto del suo distacco socievole dal suo collega, che se ne era già andato dall'ufficio accettazioni. Si mostrò un pò pavido e si dileguò, ma poi assentai questa domanda nel pensiero, e dissi ad Ugo di andarsi a riposare ed egli...disse:

Ti ringrazio, sei stata gentile Clara.

Clara ...

Se ne andò via, Ugo, quasi come il vento, con lo sguardo abbassato, come di chi avesse colpa dovuta per dovere e non accettava, come sbaglio, la difesa di essere un poliziotto.

Erano pochi come lui che si presentavano in ospedale. Di poliziotti tanti, ma quasi tutti esaltati sullo scempio della dovuta difesa, con la solita frase: "ho dovuto". Ugo, invece, smarrito, senza colpe, dava più colpe alla vita, al presente, all'andare dei principi che mancavano al paese. Lui era una vittima del dovere, sentivo in me, come se  fosse stato colpito lui, ma non dal malvivente ferito, ma dal progresso che non andava daccordo con le sue opinioni, che in mezz'ora mi chiarì.

Passarono alcuni giorni. Il ferito aveva una prognosi grave, si teneva in vita con il respiratore, ormai non c'era nulla da fare, i medici parlavano di morte cerebrale. Nella sera si presentò Ugo, aveva saputo della notizia, venne in ospedale in borghese, senza divisa, mi accostai, aveva gli occhi  infiammati di rabbia, gli chiesi: "Ugo ti va un caffè?" Rispose di si, ci sedemmo fuori ad un bar poco distante dall'ospedale. Ugo sfogò un pò di rabbia che aveva, mi parlò un pò del suo passato.

Ugo...

Sai Clara, io e te non ci conosciamo. Siamo due sconosciuti in una grande Milano, ed io penso che il modo migliore per sfogare è proprio confessare i tuoi problemi, farli ascoltare, spiegare di te, il tuo dolore, la tua sofferenza, il tuo gioire a chi non conosci. Solo così sarà lì, buttato su un treno che viaggia e andrà lontano col tuo sfogo interiore, un pò di te, anche se è vero, potremmo dire che sono strano, ma per me è l' unico modo, si l'unico per dire ed evadere dalle mie angosce, da questa città, dal mio tortuoso passato.

Ebbene si, sono solo dieci anni che sono un poliziotto. Prima, molto prima, anni fa, ero l'orrendo, si dico orrendo, non mi definisco uomo. La mia gioventù l'ho trucidata nel terrore, sbattendo in ogni suo angolo. Ho straziato anche l'amore di una donna che mi ha amato tanto, ed io ero solo un delirio folle, spatacchiato, non un uomo, ma una bestia che strisciava i suoi giorni di fetore. Lei invece era solo il mio plagio, la vittima e cavia del mio macabro, se si può definire, vivere. Nella mia età adolescenziale mi trovai alle prime armi nel cercare lavoro. Il liceo lo lasciai per  la morte dei miei genitori, entrambi morirono in un incidente stradale, l'incidente fu causa di una manifestazione civile. I miei genitori erano in viaggio su un'autostrada che costeggiava una manifestazione, durante la quale ci furono molti feriti. La manifestazione era organizzata da rivoluzionari, in rivolta contro il governo, a causa della crisi. All'epoca, all'inizio della crisi, sai bene che il paese non era pronto alla discordia e alla fame improvvisa per lo scarso lavoro per l'operaio, per lo sperpero di denaro e vizi di chi era al potere. In quella manifestazione, nell'onda della rivolta ci fu un inseguimento, degli agenti inseguivano con la volante un gruppo che ne aveva approfittato per compiere un colpo ad una banca. Nell'inseguimento sull'autostrada ci fu un impatto violento, l'auto dei malviventi si scontrò con quella dei miei genitori, morirono sul colpo. Da quel giorno la mia vita si tramutò in un inferno. Ce l'avevo col mondo, con Dio, con qualsiasi cosa, tutto quello che era giorno di vita poteva darmi fastidio. Diventai un permaloso cronico acuto, era l'inizio di una brutta strada, quella della droga. In quegli anni, la mia vita cambiava, sempre di male in peggio. Giorno per giorno, qualsiasi cosa potesse fruttare denaro, la usavo per comprare dosi di eroina. Di lavorare non ne volevo sentire e, se per caso capitava qualche lavoretto, il ricavato andava sempre nelle mie vene. Non avevo carattere, non me ne sapevo uscire e, ancora più grave, era che la voglia di uscire dalla droga non l'avessi posta nei pensieri neanche minimamente. La mia delusione di vita, la perdita dei miei genitori, solo quella sentivo e sento ancora dentro, dando sempre la colpa a questo mondo ipocrita, che abbindola sempre di più con false idee di promesse, quelle e queste rivolte zittite sempre con parole e mani sempre vuote da fatti. La gente si dispera sempre, da venti anni ad oggi, dimmi cosa è cambiato?

Quell'uomo che sta per morire, perchè è lì nell' ospedale? Non è un lavoro, rubare!

Si ruba e ci si improvvisa ladri. Persone che fino a ieri erano comuni operai. La gente è disperata e non ne può più di vedere nei media tutto quel lusso di persone, quei vizi, quelle auto e quelle case, che poi confrontano con quello che possono mettere a tavola per i loro figli. Be, io ero un pò così, anche se mi drogavo, avevo il mio vizio, di viziarmi con coerenza.

Clara ...

Ma dimmi Ugo, e una donna? Non hai vissuto un amore, come facevi per il bene primario? ...Come potrei dirti, una casa, mangiare, lavarti, come facevi? 

E volevo dirti che anche per me è stato un colpo la morte di mia madre, ma non ne voglio parlare. Mi rattrista, parla pure adesso, noto che ti sfoghi, ti fa bene parlare. Tranquillo non sono una psicologa, ma una semplice infermiera cresciuta in un orfanotrofio, neanche suora, sono una donna  operaia, vivo nella mia umile vita. 

Ugo...

Per mangiare mi arrangiavo alla Caritas e spesso facevo a botte a tavola e anche in fila per entrare. Per lavarmi e vestirmi l'unica scelta erano le stazioni ferroviare, non avevo alternativa, facevo una vera vita da barbone drogato. Forse mi ero anche un pò abituato a questo tipo di vita, al punto che non pensavo e non prendevo un'iniziativa che mi potesse aiutare ad uscirne. Smarrito dal concetto del vivere, elogiavo l'aria, ero il niente che passeggiava, solo perche' l'aria abbondava gratuitamente, si pagava solo il peso dei pensieri, che non aveva una coscienza per dimora.

Poi un giorno, come tu Clara hai chiesto, conobbi una donna. Una bella donna, una ragazza universitaria. La conobbi nel giorno fortunato, lo chiamo così, il giorno fortunato, il che vuole dire avere molto, per dei drogati ​​scontenti, dipendenti e seduti nell'angolo del cubicolo giorno, in ogni momento, che la vita cammina e che tutto sembra sempre più difficile del peggiore, al punto tale che sbuca un giorno fortunato.
Sul ciglio del marciapiede, nell'abitacolo di strada, ti annoti il chiaro come se avessi scoperto il sole nelle note di una musica, in un paio d'occhi per cui quel giorno riparte il sorriso, che viveva da sempre nei peggiori bui. Ed è come nell'abitare da tempo in un tunnel e tu sei chiuso fuori dal mondo, non sai da dove ti arriva la vita e la vedi in lontananza, con un sole dimenticato negli occhi del tempo. 

Mentre aspetti. accasciato nelle soste dei pensieri e il corpo vive solo di occhi e speranze dell'arrivo di un sacco pieno d'oro, con un giorno che spieghi cosa sia vivere migliore, arriva un giorno fortunato, intenso e raro, in cui si è un pò più presentabili, si è mangiato a pranzo e cena. E così, lei, bella. seduta sui gradini dell'università, di sera, con alcuni amici ed io qualche scalino un pò più su, fumando marjuana. Anche lei fumava, infatti si distaccò dai suoi amici, venne vicino, chiese se poteva fare due boccate di fumo ed io le passai la canna da poco accesa. Si sedette vicino, era tranquilla, sorrise nel chiedere, con quel viso di giovane ragazza un pò sfacciata e sembrava molto sobria di vita. Aveva degli occhi indescrivibili, parlavano in me come una meraviglia. Si presentò, disse il suo nome. In verità ti dico, ero fattissimo. Non ho mai ricordato il suo nome, nel frequentarci non glielo chiedevo mai, le detti il nomignolo di Tipa! E  l'abituaii al nome di Tipa!

Clara ...

Hihihi...Tipa! Simpatico come nomignolo! che tipo che sei Ugo! hihi.

Ugo...

hihihi Tipo! hihih. Nel fumare, la Tipa, seduta con un libro tra le mani, leggeva e le chiesi cosa studiasse, rispose che stava studiando per laurearsi in scienze politiche. Io lì, sciolto coi pensieri nell'aria, sbilenco per l'eccesivo fumo, le dissi, con un aria rozza e sgargiante, ridendo con la sola ironia uscita dai miei pensieri "Con un libro ti laurei in scienze politiche, bene! Allora chi scrive enciclopedie avrà infinite lauree! Biblioteche!"

Ziba ... hihih

Ridendo esclamò...

Vaffanculo, certo che a te il fumo produce una personale ironia!

Ugo...

E per noi Clara, non saprei definirti cosa stesse per iniziare, oppure dare un nome ad una storia che avesse senso, al tempo passato con lei, la Tipa. Era molto ignaro il sole ai nostri occhi, le ore del buio paradossali a quelle del giorno. Si, adesso respiro un profumo d'aria vera, allora sentivo addosso l'odore d'asfalto. Quell'ebrezza di aria bollente penetrava forte, insieme con lei nella mia mente, sbarravo, affogavo le forme di coerenza, mettendo nella sua vita l'odio sbarcato nella mia vita. Lo stesso giorno che ci incontrammo, dopo l'ironia d'aver fumato, passeggiammo lungo il corso della città che costeggiava l'università. Alla Tipa sembrava tutto normale, anzi lei era in uno stato di calma, tranquilla al punto che guardandola, pensavo: 

"quanto è serena questa ragazza, strana per la sua serenità". Si incamminava con me ed io indeciso, con le mie domande di approccio, con il pensare le parole giuste per iniziare un discorso, me ne stavo in silenzio. Lei mi prevalse dicendo: "Come mai non parli? Sei fatto ancora? O sei un uomo silenzioso? Oppure un tipo eremita, che frequenta le scale universitarie, arrotolando cartine politiche di marjuana, hihih e magari sei anche a favore della legalizzazione...hihih

Rideva, si, e più rideva, più mi piaceva, bella molto bella, l'aria espressiva, scolpita con i suoi occhi chiari, la stessa chiara emozione sulla mia pelle.

Clara ...

Ne eri innamorato, si sente, dalla tua voce, da come la racconti, non ti vedi, ma si legge nei tuoi occhi, nel parlarne sei nell'immagine dei passati momenti trascorsi con lei.

Ugo...

Se fosse solo quel che ti ho detto finora! Sarebbe stata una storia normale, finita, quasi come si suol dire, una storia semplice. Ma non è cosi. Il giorno dopo ci incontrammo di notte, lei sempre nel ghetto, ma appena mi vide da lontano, mi vennne incontro col fischio di tutti i suoi amici in coro a cui, col sorriso, lanciò il dito medio con l'incito scherzoso di un vaffanculo! Scosse un pò di sorriso anche in me, che ero in astinenza e di solito, quando ero in astineza, mi abbondavo di fobie permalose contro tutto e tutti. Chiesi alla Tipa se guidasse, se avesse un auto per fare un giro e prendere un po d'aria e magari fumare una canna, lei disse, "Si, tranquillo, vieni non è distante" Io chiesi: "Cosa?" E lei: "Cazzo non far domande e cammina." Facemmo un pò di strada, anzi, un pò troppa, per il mio stato fisico, dovuto alla mia astinenza. Ci trovammo d'innanzi casa sua, una villa oppure un palazzo, non decifrai bene per una tale luce composta, grande, compatta, che si presentò di colpo davanti ai miei occhi. Dissi subito con tono intimidito, per audacia premura di essere da subito schivato: "Ti aspetto fuori Tipa"

E lei..la Tipa..

Ok daccordo! 

Ugo...

Aspettai una ventina di minuti, poi si aprì il cancello e sbucò fuori con un auto, un suv molto grande. Una volta fuori, gridò...

Dai stronzo sali!

Non ero mai entrato in un'auto cosi grande, mi sentivo un pò impacciato, non sapevo nemmeno aprire il finestrino e poi, ero così sconvolto e sudato dall'astinenza che mi assaliva, che le chiesi subito se avesse dei soldi a disposizione per comprare una dose. Credevo che nel chiedere si impavidisse, invece serena disse: "Certo però prendiamo anche un po d'erba per me!"

Sulla strada mi chiedevo chi fossero i suoi genitori, vedendo la Tipa e rendendomi conto del benessere in cui lei viveva. D'improvviso, incuriosito, le chiesi sherzando...

Però cazzo! I tuoi chi sono! Paperon dei Paperoni ?

Rispose...

Nel parlare con fretta, mio padre è un fottuto puttaniere politico. Come pensi e vedi i soldi gli galleggiano sotto il culo e credo che nella sua merda di soldi affogherà di certo! Si. me ne frego della sua fottuta politica, perché chi fa politica si accerchia di nemici e non vive bene. Mia madre, invece, poverina, separata da lui, si arrangia con un misero mantenimento di un milione di euro al mese.

Ugo...

Meglio farci la serata, cazzo d'un cazzo, un milione!!!!

E iniziai a farmi la serata, anzi credo la nottata. All'arrivo  in un quartiere di periferia, dove lo spaccio di stupefacenti sembrava un supermarket d'ultima generazione, dove i drogati giravano come zombi e ammiravano le facce degli spacciatori come vetrine di lusso. Fermati poco distanti, la Tipa mi diede dei soldi, andai con i piedi sbilenchi, afflosciato come mio solito, quando ero in  trans d'astinenza, verso lo spacciatore che mi conosceva bene perchè ero cliente da anni, anche se sempre in difficoltà di denaro, come tutti i drogati. Mi sorrise sbalordito, dicendo,"Hei Ugo, hai rimorchiato bene, alla grande!" Ed io: "Stai zitto stronzo, dai non urlare Lupo! E dammi una dose e un pò d'erba! Lupo, si faceva chiamare Lupo, perchè aveva sempre il turno di notte nell'ambiente dello spaccio. Tornai in auto, la Tipa era agitata, con addosso un'euforia elettrica di chi stava per coinvolgersi l'esistenza con un complice, in qualcosa che l'entusiasmasse la vita...

Clara ...

Ma dimmi, Ugo! Dimmi! Quando ti droghi, cosa

provi o cosa provavi?

Ugo...

Hai mai provato a dire no al vento, e gridare forte bastardo alla deriva?
Senti che poi innamorarsi è solo un mare in cui ti accasci dentro, con la paura d'un vorrei e non vorrei, la vita sempre in bilico che morde, come un'onda grossa di paure e un pendio di brividi
che spinge forte sul cuore. Vivi e chiedi al dolore solo aghi tatuati per le vene ed essere toccato dalle ruggini di piogge, credi e credi ad una sola parola, mi devo fare, mi faccio, mi devo drogare. La stessa solita parola o frase uguale, ossia infranta nelle vene, come quella di ieri, mai diversa, poi dividi e squadri il viso, sei sfiorito con una pelle dal colorito marcio. Cresci col male che ti porti addosso e trascini, zoppo, con gli stessi lineamenti. Il non capire il proprio viso, ti coinvolge, sei immune, senza carattere con il cuore zittito che vaga in esaltazioni.

L'insabbiare di gente che ti passa per la vita, di fretta e il tutto  non coincide con la mente. 
E poi, così riduci e ti riduci nel buio, con gli occhi tuoi, a trovare tutto quello che non hai mai trovato, che non è poco. Ci pensi e nel fango nuoti e vivi, lo scavalchi, ma te lo ritrovi in pozzanghere con i piedi d'assenza, perchè respiri ed aspetti la dispersa smarrita luce, per affogare al mattino in un altro ago nel fiume delle vene,
credendoti nel giusto e nella notte, che speri non si affacci e non si permetta mai. Sulle finestre del proprio viso poco leggi. Nei passi, solo ricordi del giorno precedente e non domandi, non annoti gli sguardi che ti hanno cresciuto. L'infanzia sembra che sia passata, in un solo natale, ma tu non ne ricordi più la luce cresciuta del sole e sfoghi tutti i veleni in aghi, solo aghi acuti di rabbia, come la mia, che è quella di una vita ingiusta, che portò  i miei genitori e i loro visi via dalla mia vita. 

Addesso Clara credo di averti annoiato un pò con questo mio tratto di vita, un tratto buio, ma è sempre la mia vita.

Clara ... 

Attento Ugo!!!!

Ugo...

Cosa???

Mi lanciai con velocità addosso ad Ugo. Non si accorse, forse troppo preso nel suo tratto di racconto, dei due su una moto che sostarono vicini al tavolo del bar. Mi accorsi subito che erano due tipi loschi, infatti uno di loro, dal giubbotto, estrasse una pistola ed io subito mi scagliai, gettai Ugo a terra. Gli spari a raffica colpirono il tavolo perforandolo, mentre io, addosso ad Ugo, mi trovai all'in piedi con l'impulso di slancio di forza, in pochi secondi. Non capii, Ugo era impressionante, a tratti di urla e rabbia sferrò la sua pistola, con furia, sparando verso i due loschi sulla moto, gridando: "Bastardi, ditegli che se la prendesse nel culo", e nel frattempo mi riparava anche col suo corpo, spostando me man mano nel bar. Ero molto impaurita, una scena così nella mia vita l'avevo vista solo nei films, Ugo fermò un'auto col suo distintivo e non lo vidi fino all'avvenuta sera, quando ritornò all'ospedale per sapere delle mie condizioni.

Ugo...

Come stai Clara?

Clara ... 

Se dico bene, sembrerebbe dire un'idiozia, sono molto sconvolta, per il resto, fisicamente solo qualche lieve graffio, ma non è nulla di grave, stai pure tranquillo. Ascolta Ugo, potrei invitarti a casa mia? In verità ho un pò paura di rientrare a casa stasera. Per l'accaduto sono un pò scioccata, mi sento un pò traumatizzata.

Ugo...

"Certo Clara, a che ora posso venire a prenderti"

Clara ...

Vieni alle dieci, avrò finito il mio turno e se per caso non puoi, ti do il mio numero, così mi avvisi!

Ugo..

Tranquilla Clara, si che posso e poi ho già fornito il rapporto dell'agguato di stamani.

Clara ...

E potrei sapere il perché dell'accaduto, perchè un agguato? Perchè?

Ugo...

Dai non piangere Clara. Ti spiegherò, dai riprenditi, solo un pò di fatti in sospeso. Dai, stasera a casa tua, e non piangere basta ora, ne parleremo lì. Su, dai prendi il fazzoletto, asciuga il viso e cerca di stare calma. Stasera ci vediamo, stanne certa.

Clara ...

Verso le dieci meno cinque mi squilla il cellulare, era Ugo: "Sto per arrivare, tu aspetta all'entrata dell'ospedale"

Io gli dico che ho l'auto, che lo aspetto con la mia Ford nera e che mi deve venire dietro con la sua auto. Arrivati sotto casa, lo invito su per offrirgli e ringraziare la sua cortesia, con un caffè. Ugo sale con me in ascensore, con lo sguardo fisso, i pensieri annuvolati, chissà, mi chiedevo, cosa stesse pensando ed ero curiosa di sapere il perchè dell'avvenuto agguato. In verità ero, come sempre, anche attratta dal suo merviglioso e toccante sguardo, dai suoi occhi allineati verso l'aria, persi in chissà che, ma stupendo, come l'avevo veduto per la prima volta che mi svolò negli occhi. Si sedette in cucina, mentre io preparavo il caffe', iniziò col dire...

So bene Clara che tu non c'entri niente con l'accaduto di stamattina e credo anche che tu abbia il diritto di sapere un pò di cose visto che sono nel dubbio, se anche tu sei in pericolo!

Clara ...

Io in pericolo! Cosa vuoi dire! Ugo parla chiaro!!!!

Ugo..

Normale che sei sconvolta, di sicuro non ti sei mai trovata in queste situazioni. Be devo dirti che io me le porto sulle spalle da una vita, come ben ti ho raccontato in un piccolo tratto della mia misera esistenza.

Clara ...

Si, ma io cosa c'entro?

Ugo...

Il fatto sta, che stamattina ti trovavi con me al bar e si parlava al chiaro del piu' e del meno, davanti agli occhi delle persone, quegli occhi che ci hanno sparato,  hanno visto pure il tuo viso!

Clara ...

E quindi! Cosa c'entro io? Che cazzo me ne frega! Chi li conosce, e adesso in che cazzo di guaio sono finita! Non riesco a capire, ma in questa cazzo di vita, fosse un tratto che mi vivessi bene! Sempre srotolata, sempre nel cadere il sereno, e adesso cosa continuerai a dirmi, che devo essere protetta o già lo sono. Io sono una donna che lavora, non ho mai rotto le palle a nessuno, porco cazzo di mondo!

Ugo...

Dai calmati,  cerca di calmarti, so che non c'entri nulla, lo so bene e sono qui per aiutarti, per esserti d'aiuto.

Clara ...

Aiuto! Ma! Aiutarmi in cosa, ma sei fuori di testa? Nella mia vita ho sempre fatto tutto da sola, nessuno mai è venuto ad aiutarmi. Se mangiassi, se dormissi, nessuno, neppure l'amore , sempre aspro, gli uomini passano nella mia vita come aerei, prima in cielo e poi col ricordo di una scia, col dolore che mena, emana mentre ci riprovi ad amare qualcun altro, ti scia veleno. Non ne voglio sapere niente di questa storia, scendi e va per la tua strada, io non c'entro nulla esci! Si esci!

Ugo...

Dai Clara non fare cosi, non piangere un'altra volta, dai vieni qui..

Clara ...

Di colpo e che colpo, mi arrotolò le sue braccia intorno, colse tutta l'aria in due passi, mi strinse forte con un inverosimile bacio, il tremore m'arrivò dalla gola al petto. Un nodo indecifrabile collegò il cuore alla paura e tremai dall'emozione di baciare Ugo, come una bambina al suo primo bacio. La paura s'arrampicò e poi scese al pensiero dell'inaspettato bacio, mi distrassi dall'agguato avvenuto. Mi trovavo in un labirinto acuto  tra rischi e baci, l'impulso amore lottava nella tremenda realtà. Dalla cucina, da vero uomo virtuoso, Ugo m'alzò come una piuma ed invase il mio letto, m'accartocciai nel tenero, sul succube arcano del suo corpo. Si, man mano, si manifestava dal tenero al semplice selvaggio, sventravo gli abbissi, sul suo corpo ereditavo radici perdute d'amore, mentre un uomo mi contemplava l'anima col suo corpo, ero cannibale e carnefice della sua dolce presenza. Ammassava il fienile delle lenzuola. Con arte, le sue labbra erano quadri d'etero maschile, era la mia fionda, che sapeva nominarsi e piombare da re, all'attimo colse dal seno alle labbra delle  gambe e configurava l'interno del mio ventre da vero dittatore e padrone del proibito, al che perversa io non lo ero mai stata. Lui innaffiava il dolce sapore sul veleno ed io assorbivo la mia femminilità trasparente e mai ottenuta. Sbocciavo donna nella mia stanza, priva di mente, all'allietare godevo sulla punta di una piramide, guardando il cielo e nelle carezze sognavo stelle con un vero uomo. Rianimavo le mie ossa alla carne, vivendo una sola notte sugli affanni dei sospiri sferrati alle fantasie di bruciarsi la pelle e fluire sulla corazza di Ugo, cadendo come un'alba al mattino. La finestra, coi raggi di sole, mi svegliò inebriata dal profumo di Ugo, che non ritrovai accanto a me, era sparito come la notte. Mi immedesimavo per potere capire, ma forse era inutile e lì, tra le mie domande, m'accorsi che Ugo non era un uomo comune. In serata Ugo si presentò in ospedale per sapere le condizioni cliniche del ferito. Gli dissi con tono turbolento, "è stabile e non credo che sopravviverà", ma adesso, potrei sapere che cazzo di fine farò io, visto che i tuoi racconti di puttane tossiche e repellenti condizionano la vita e m'hanno coinvolta in qualche cosa, nella quale, come ben sai, non c'entro e di cui addirittura io non ho la più pallida idea?

Ugo...

Si tranquilla rilassati, dai smetti di piagnucolare e vieni via con me, dai che ho parcheggiato male!

Salimmo in macchina. Ugo, col silenzio delle sue sigarette ed io coi miei penseri, nel fumo di tante domande, mi chiedevo cosa facessi con quest'uomo che conoscevo da poco e che non era da me andare subito a letto con uno che potevo definire uno sconosciuto. La mia umiltà la sentivo sempre più distante, come se stesse quasi per bruciarsi e radere la mia vita normale, al suolo.

Ugo...

Ti va di cenare? C'è un ristorantino un pò più avanti, cucina dell'ottimo suschi.

Clara ...

Si, ma poi dopo cena mi riaccompagni a casa, sono stanca e sento che devo riposare un pò, sia i pensieri che il corpo.

Ugo ...

Ecco siamo arrivati, guarda che bel lago, come è carino, c'è uno spazio adiacente ed è possibile avere un tavolo con vista sul lago. 

Dai vieni  Clara. 

Clara ...

Cenare fuori, lì su un lago era molto romatico, al punto che ero instabile, non capivo la dolcezza di Ugo, l'uomo romantico che era in lui. Sembrava tutto anormale, dopo l'episodio accaduto. Ci sedemmo fuori, sulla tavola vino bianco e un pianista che suonava una dolce musica classica accompagnato da una ragazza con un violino. Sembrava una serata surreale. Ugo penetrava i suoi occhi nei miei, che insieme alle luci soffuse mi alluccicavano il battito del cuore, che andava forte d'emozione, correva nel tremare fino alle mani che Ugo sfiorava con le sue. Tra un calice e un altro, Ugo iniziò a parlare, dandomi spiegazioni e questa volta senza che io glielo chiedessi.

Ugo...

Ascolta Clara, tu devi sapere. Comprendo il tuo nervosismo nel restare sospesa, dopo il tragico agguato avvenuto, come avvenne a me quando scoprii chi era il padre della Tipa!

Clara ...

La Tipa? E cosa c'entra? Ed io poi ?

Ugo...

Stai calma e ascolta! Col tempo iniziai a frequentare la Tipa, si potrebbe dire che stavamo insieme, oppure che ci frequentassimo.  Lei, la Tipa, mi fece conoscere i suoi amici, ragazzi universitari con la testa rivoluzionaria e pochi libri nelle mani, con tanti sogni e idee di ribellione nel cambiare il paese. Ognuno di loro vive il giorno col pensiero di calpestare l'attuale sistema politico ed economico.

Clara...Vive? Perché dici vive, se parli del passato?

Ugo...

Ascolta, calma, non interrompermi. Tutto ebbe Inizio con il condividere con la Tipa e i suoi amici, se così si possono definire, serate tra locali, ubriachezze e follie, droga d'ogni tipo, pillole, anfetamine, tutto come se fosse pane. Gli amici che la frequentavano erano i suoi stessi carnefici di vita. Sapevano bene le condizioni economiche della Tipa, ed è normale approffitare, per dei drogati, della situazione. Coscienza zero, coerenza solo nel condividere ed attuare piani, strategie, per complottare una rivolta che abbattesse con forza il muro poco attuale. In poche parole, terrorristi! Si, circondavano la Tipa, avevano molta influenza, anche perché lei aveva un carattere euforico ed era facile trasportare la sua fragilità e ottenere soldi che rubava dai conti correnti dei partiti. Suo padre era uno dei più alti dirigenti e manovratore del sistema bancario sui fondi politici, gestiva denaro, tanto denaro, proprio come lei mi raccontò nella nostra prima nottata. Ci galleggiava col culo sopra! Arrivammo coll'essere compatti quotidianamente, al punto che si decise di prendere casa e condividere un appartamento per essere indipendenti e vivere insieme. La Tipa era l'unica donna del gruppo e l'unica fonte economica. In casa c'erano altri tre coetani e poi c'ero io. L'appartamento abbastanza grande, tre camere, in una io e la Tipa, una secoda camera molto ampia per potere ospitare gli altri tre, Franco, Gianni e Tony. Tutti e tre amici della Tipa, quasi fin dalla nascita, anche loro erano benestanti, ma non a livello del padre della Tipa che era il pezzo più grosso, così come veniva chiamato da Tony, che era il basista.

Tony, un ragazzo molto intelligente con un ideale di vita sulla via, quasi come se fosse cresciuto sui gradini dell'università. Colto, sempre attento a giornali e telegiornali, alle riunioni televisive di pezzi grossi di governo nei vari talk show, documentava con voce alta un programma in tv! Spiegava le intenzioni dei parlamentari su cosa non inquadra e su come gestire l'errante convinzione di riforme. Nei lati più oscuri poneva le sue domande, s'interrogava e, in verità coinvolgeva molto, con il suo irrefrenabile metodo, al punto che, ad ogni dibattito in casa approdava un emendamento di rabbia politica, un fracasso d'oltranza con Gianni e Franco. L'altra camera restante serviva per pianificare complotti, era quasi un ufficio, che nominai l'aula degli attentati. Lì si elaboravano e organizzavano, su lavagne e schermi di computer, strategie e schemi su come rifornirsi di armi, elaborare gli orari e le quotidianità di persone che dovevano essere un mirato bersaglio, su come prelevare denaro dai conti correnti e osservare tutto quel che potesse intralciare con danno. Insomma Clara, dei pazzi!

Clara ...

Orribile!!! Ugo, ti hanno coinvolto!

Ugo...

Dai, si è fatto tardi, che ne dici, se invece di andare a casa, dormiamo insieme stanotte? C'è un piccolo albergo poco distante, ti va?

Clara ...

Dopo tutto quello che mi stai raccontando adesso si è tolta la stanchezza e mi si sono accesi i nervi. Mio dio adesso ho ancora più paura di prima, dimmi quelli dell'agguato, chi sono?

Ugo...Vieni ne parliamo in albergo!

Clara ...

Ma io non ho detto di si!

Ugo...

Lo stai pensando! Dai vieni, andiamo.

Clara ...

Parcheggiammo in albergo. Era composto da piano rialzato, piccolo con le camere adiacenti al parcheggio. Entrammo in camera. Ugo entrò in bagno per farsi una doccia. Io, irrequieta pallida dal tremore ed impavida nel passare la notte con lui, mi soffermavo i pensieri in testa. Ero in crisi, angosciata e turbata, circondata da un esercito di domande, con la risposta, sempre quella di non sapere cosa fare, al punto tale che ebbi una crisi pazzesca. Urlai d'improvviso, forte, sbattendo la porta del bagno, che si aprì, ero una pazza irrefrenabile, incontrollabile dei miei gesti, mi scaraventai con forza e aggredii Ugo che stava facendo la doccia. Ero pura incoscienza, mi frenò Ugo, mi fermò con uno schiaffo violento, ancora che me lo sento tinto in faccia, poi m'alzò in braccio con le cosce nelle sue braccia con una facilità assurda. Il rubinetto della doccia, ancora aperto e in un istante mi ritrovai scaraventata contro il muro della doccia, sospesa col corpo e il cuore che correva con mille emozioni all'ora. Dalle sue labbra attorcigliate nelle mie, dalle mie mani, nei tocchi fluenti, assaporai le dolci eccitazioni. Mi guarniva la pelle ad ogni sbattere sul muro, penetrandomi da maestro selvaggio e virtuoso, stoccavo i suoi palpiti, raccoglieva le mie pene, aderivo e cedevo nel godere, silenziando Ugo con i graffi delle mie unghie dietro la sua schiena. Finchè, nel cadere sul piano della doccia colmo d'acqua, affogò i suoi desideri eccitanti nella mia bocca. Non ero afflitta, ero ventilata nei piaceri di lussuria oscura e assaporai le mie perversità nascoste. Ero vissuta fino dentro l'anima e dentro, nell'attimo dalla mia frenesia acuta, attraversata dai sospiri dei miei sensi, Ugo versava i primordiali della sua virilità, tatuando il suo posto nella mia anima col pudore o con amore, non mi ponevo queste domande ero in una trincea di perplessità nel sentire dentro d'un uomo tutto quello che non avessi mai sentito. Ero accerchiata e plagiata, ma forse anche cotta, ad esser sincera, credo anche inammorata al punto tale che, quando ero posseduta da Ugo, dimenticavo  il presente con tutti i suoi discapiti. Dopo mi ritrovai nel diretto mattino, sveglia coi raggi di sole socchiusi dalla finestra dell'albergo fino al mio cuscino di confusa notte, con le mie confuse domande che si apprestavano ad invadere un altro giorno di quel periodo infranto. Ugo si stava vestendo, al mio risveglio, stava per uscire, ed io ancora stordita gli chiesi subito dov'è che andasse, lui mi disse:

Ugo...

Ti lascio le chiavi dell'auto, io vado. Fuori c'è una persona che mi è venuta a prendere. Ho da fare alcune commissioni importanti, non posso riaccompagnarti, appena possibile ci sentiamo, oppure ci vediamo, ciao.

Clara ...

Io, spiazzata, nel sentire Ugo al mattino, rinnegai l'affronto di una discussione. Senza nemmeno rispondere, alla sua uscita dalla porta, ero già girata verso il lato opposto dell'uscio, poi al suo andare,  mi rialzai piano, tramortita, ma con la forza, la fortuna di chi vuole ancora reagire e non si arrende, anche se in verità, mi chiedevo in che cosa poi mi dovevo dare coraggio, se con tutto il casino di quel periodo, io non c'entrassi nulla affatto. Feci una doccia, mi recai al lavoro con l'auto di Ugo. Mi sentivo osservata durante il tragitto, con un'ansia che faceva da padrone di tutto il mio corpo, ma consapevole dei miei pensieri, anche perché guidavo l'auto di Ugo. Arrivata in ospedale, ebbi la notizia della morte del ferito. Diventai subito nervosa, chiamai subito sul cellulare di Ugo per avvisarlo, ma fu inutile, invano, non rispondeva. Tentai per tutto il giorno richiamando quasi ad ogni ora, in tutta la mia giornata di lavoro, ma le chiamate erano inutili, pensai: "Se Ugo non risponde, è perché già sa dell'avvenuta morte", questo mi frullava per la testa. Si avviò l'ultima ora di lavoro, avevo quasi finito la mia giornata, ero un pò più libera in ospedale  tanto che,  nell'ultimo quarto d'ora, prima di recarmi negli spogliatoi, andai a fare una visita nella sala di rianimazione dove giaceva il defunto. Trovai, però, il letto vuoto, mi dissero che era stato portato in sala mortuaria, nessuno si presentò per accorgimenti di rito funebre, oppure per un normale dispiacere, insomma nessun parente, neppure un amico. In quell'attimo avvertivo che qualcosa non quadrasse, troppa indifferenza, sentivo puzza di bruciato, al punto tale che mi spaventai di nuovo, recandomi nervosa negli spogliatoi. Mi vestii in fretta ed uscii, con l'aria irrequieta, riposi le chiavi dell'auto di Ugo sotto il parasole, mi recai a casa mia, feci una doccia fredda con un grosso timore dentro, emanavo un calore repelllente, ero molto agitata. Dopo mi preparai un pò di cena, avevo mal di stomaco, cucinai un'omelette, accompagnata con un goccio di vino. Mentre cenavo, squillò il mio cellulare, entrai subito in panico, per la tarda ora, raro che qualcuno mi chiamasse in quelle ore serali. Era Ugo, mentre gli stavo per dire della morte del ferito, mi prevalse dicendo che sapeva e che stava per venire da me. Io, come sempre, una sciocca e confusa donna, cieca nella ragione e presa e persa nel cuore, risposi subito di si, come se non aspetassi altro che venisse da me. Ugo arrivò, bussò alla porta intorno alla mezzanotte. Assonnata e stanca aprii la porta e Ugo mi cadde addosso ferito, perdeva sangue, strillai come una matta: Che cosa è accaduto???

Come è sucesso parla dimmi!!! Dimmi!!! Ugo.

Aveva perso molto sangue al punto che svenne, per fortuna davanti alla mia porta di casa. Lo trascinai sul letto, notai che non era solo ferito, ma che aveva altri piccoli graffi di colluttazioni. Presi la cassetta del pronto soccorso e lo medicai, gli cucii la ferita più grande sul braccio sinistro, disinfettai anche i graffi più piccoli, Ugo riprese conoscenza, credo, durante la notte, quasi alle prime ore del mattino. Io, dopo averlo medicato, mi addormentai per la stanchezza, accanto a lui, che al mattino mi chiamò con voce rauca.

Ugo...

Clara! Clara!

Clara ...

Lo sentii in un balzo, appiattita di sonno, assonnata, ma subito presente e professionale. Ugo sudava accaldato, gli dissi..

Adesso ti misuro la febbre, ma lui, con voce flebile, rispose:

Lascia stare e ascoltami.

Clara ...

Si ti ascolto, ma ti misuro anche la temperatura, sudi freddo hai di sicuro la febbre alta dovuta all'infezione della ferita. Dimmi pure che ascolto.

Ugo...

Fuori, nella macchina, nei sedili di dietro, guarda che c'è un doppio fondo, si apre con un pulsante, che è sotto il sedile di guida, vedi c'è una valigetta, fammi la cortesia valla a prendere.

Clara ...

Uscii, con ormai la paura stretta in petto, come una collare d'ansia, che mi toglieva e ridava il respiro ogni volta che incontravo Ugo.  Ormai era diventato uno stato abitudinario, tra la confusione e lo spavento dei nostri incontri ero sommersa dalla confusione, in quell'attimo in cui andai in macchina, ero così convinta  di quello che facevo, che lo spavento era ormai lontano, come  se fossi complice di Ugo, protagonista di una vita che non ho mai sentito, ma ho capito che mi apparteneva. Andai in macchina, guardandomi in giro, pigiai il pulsante sotto il sedile di guida, sentii uno scatto, sollevai i sedili posteriori e presi la valigetta che era posta nel doppiofondo. Rientrai con un'aria sciolta, andai subito accanto al letto di Ugo. Egli scottava fortemente, la febbre forte lo faceva delirare al punto tale che presi dei panni bagnati con acqua fredda per fargli scendere la temperatura. Mentre mi preparavo un bagno caldo, lo sentivo ancora delirare, diceva: -la Tipa non doveva venire a Vicenza- ma poi non ci feci caso più e andai nella vasca. Finito il bagno mi addormentai nel letto accanto ad Ugo. Al mattino, Ugo non c'era, come sempre, i miei risvegli, avvolti da armonia, erano sempre risvegli solitari. Ad un tratto suonarono alla porta, ormai con quel timore, che andava e veniva, come Ugo, mi alzai e dall'occhiello vidi che era proprio lui. Mi rasserenai ed aprii la porta.

Ugo..

Buogiorno Clara

Buongiorno Ugo, adesso siediti e dammi una spiegazione, voglio sapere tutto di queta assurda vicenda che non riesco a comprendere ancora.

Ugo..

Hai ragione, è arrivato il momento che tu debba sapere tutta la verità. Nella rivolta popolare, noi eravamo finti poliziotti, stavamo correndo verso Milano, provenienti da Vicenza, dove avevamo fatto un colpo grosso ai danni di un'industria di gioielli. Il ferito che è morto era Toni, aveva avuto un diverbio con la Tipa durante il colpo, perchè la Tipa aveva sparato ad un vigilante che era in ginocchio davanti a lei, pregandola di non ammazzarlo. Toni vedendo tutto ciò sferrò un colpo alla Tipa che cadde a tappeto e si rase al suolo morta. Io corsi subito accanto a lei, la guardai negli occhi dicendo: -

Tipa come ti senti? Non morire!!!- Mi guardò anche lei negli occhi ed io urlavo sempre: Tipa!!. furioso come un pazzo.

Lei disse:-

Non hai mai ricordato il mio nome, mi chiamo Amore.

E morì.

Preso dalla rabbia di un diavolo, sferrai la pistola dalla fondina e sparai di colpo a Toni che cadde ferito. Ero disperato con le lacrime agli occhi e il dolore nell'animo.

Gianni gridò subito:

Che cazzo hai fatto, stronzo!!! 

Ed io:

Non la doveva ammazzare 

Franco urlò:

Adesso basta, mettiamo Toni in macchina e scappiamo, che stanno per arrivare gli sbrirri.

Mentre io prendevo il Suv per scappare tra i boschi, Franco e Gianni posizionavano due camion per ostruire la strada. Riuscimmo a scappare lungo una stradina del bosco mescolandoci tra i poliziotti che presiedevano la rivolta e ci dirigemmo verso Milano. C'era Toni ferito, ma vestito anche lui da poliziotto e avevamo, anche perforato la divisa, con un colpo all'altezza della sua ferita, per essere credibili al pronto soccorso dell'ospedale. La valigetta che ti ho fatto prendere è la refurtiva che Franco e Gianni avevamo complottato di dividersi da soli, non solo loro, ma anche il padre della Tipa. Egli ha ingaggiato dei Killer perchè vuole vendicarsi della morte della figlia e, ieri sera, quando sono tornato a casa tua ferito, era perchè c'era stato un conflitto a fuoco con i killer, piombati con un'auto in corsa, mentre mi difendevo dagli spari di Franco e Gianni, che a loro volta dovevano difendersi dagli spari dei killers. Nella sparatoria rubai una moto, speronandola con la mia auto, in forte corsa, inseguito dall'auto dei killers che avevano già ucciso Franco e Gianni. Arrivai ad un pontile, subito dopo c'era un incroncio che attraversai con fortuna evitando, per un millimetro, l'impatto con un'autocisterna, che invece prese in pieno l'auto dei killers, facendo un violento impatto esplosivo. Ero ferito, ma non so se erano stati i miei amici o i killers, mi ritrovai sotto casa tua senza rendermene neanche conto. Proprio stamattina, quando sono uscito, sono andato a consegnare la valigia in un commissariato, dicendo di averla trovata. Gli agenti hanno subito contattato l'azienda derubata che mi ha promesso una  lauta ricompensa in denaro, che io spenderò per comprarti un'abito da sposa.

Clara scoppiò subito in un mare di lacrime. All'incirca sei mesi dopo, la polizia chiuse le indagini e Clara e Ugo festeggiavano l'arrivo di un figlio. Ugo era diventato un rappresentante assicurativo, Clara continuava il suo lavoro da infermiera.

Vi furono, però, molte emozioni, nel frattempo. Il padre della Tipa fu arrestato e condannato con molti capi di accusa a suo sfavore, dall'abuso di potere, a riciclaggio di denaro, a favoritismi politici in cambio di regali onerosi e tanti altri reati, fino a mandante di tentato omicidio nei riguardi di un poliziotto. Dai vari articoli di giornali, Clara, finalmente venne a conoscenza del nome della Tipa. Ella si chiamava Gaia, proprio come la loro bambina, un nome voluto fortemente, non da Ugo, ma proprio da lei e ciò sconvolse molto Clara, che credeva poco nel destino e nei casi della vita. Ma le sorprese non erano finite, in una delle sue visite al convento dove era cresciuta, una delle suore a lei più vicine, ascoltando il racconto di Clara su tutto l'accaduto ad Ugo, le confessò che Toni era il suo fratellastro, avuto dal padre in una delle sue tante avventure, con cui si dilettava dopo la morte della madre. Clara era frastornata, ma più di tutto un pensiero la possedeva e la prendeva più degli altri, aveva scoperto che Ugo era davvero un poliziotto, un infiltrato facente parte dei servizi segreti. I suoi dubbi erano nati subito, da quella mattina in cui aveva consegnato la valigetta alla polizia, possibile che non avevano fatto domande o avuto sospetti? E poi, non era possibile che fosse così spietato da uccidere freddamente un uomo e poi.. poi.. tanti piccoli sospetti che la spinsero a frugare nei documenti di Ugo, tra i suoi oggetti, fino a scoprire che aveva sposato un agente segreto, ma di cui non ne avrebbe avuto mai la conferma, perchè egli era vincolato dal silenzio professionale.

                    Clara ...

Ora, solo ora,

rendo conto alla vita,

al mio lungo silenzio d'esser donna.

Ora, guardo dentro al mio tempo,

mi accorgo di non aver un ricordo,

ed ora, d'avere tutto in un istante,

tutto ciò che, dentro,

è sempre stato in petto.

Dentro, nel profondo,

cercavo un misero bene familiare,

quel poco, che mai ho vissuto.

Ora in un brivido, addossso come vento,

una lacrima di bene piange per un fratello,

ora in quest' ora che vivo un sogno,

la porgo nel cuore, amandola per sempre,

negli occhi dell'amore per mia figlia Gaia.

SALVATORE CIARAMELLA. 

INIZIATO.17/04/2014 00:47

Diritti di riproduzione e distribuzione - Si riferisce alla realizzazione di copie, temporanee ... Riguarda l'uso dei mezzi specifici per la ... come gli Stati Uniti d'America, che lo integrano nel diritto ... i diritti al distributore (per esempio nel caso dilibri, all'editore). ... della Legge 22 aprile 1941, n.633 "Protezione del .

Libro. Arpeggi di Bui su Chiave Virtuale.

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Nel abitacolo di vita ,quando gridi.

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